Unioni montane: il Veneto rimedia

Il Veneto è stata la prima Regione a legiferare sulle Unioni montane dopo la riscrittura dell’articolo 32 del Testo unico degli enti locali in tema di Unioni dei Comuni. Ma il Governo ha impugnato alla Corte costituzionale  la legge regionale n. 40 che ha istituito le Unioni montane, perché – questo il rilievo – spuntava le unghie alla possibilità delle convenzioni intercomunali ammesse invece dalla legge statale sull’esercizio obbligatorio. Ora il Consiglio regionale ha rimediato e per l’esercizio obbligatorio delle funzioni da parte dei Comuni fino a 3 mila abitanti  è ammesso anche lo strumento della convenzione.
Importante che, pur consentendole, si sappia che, rispetto alla scelta dell’Unione, le convenzioni sono uno strumento debole. Per esempio, le convenzioni fanno capo a un Comune capofila che, se supera i mille abitanti, è soggetto al patto di stabilità (vincolo a cui invece le Unioni si sottraggono), inoltre le convenzioni non rafforzano il mettersi insieme dei Comuni in una dimensione territoriale adeguata.
La legge regionale n. 40 avrebbe potuto fissare l’esercizio della convenzione all’interno solo di ambiti territoriali intermedi rispetto all’Unione montana di cui quei Comuni facciano parte, e non lasciare mano libera. Inoltre non sarebbe stato male precisare che, per incentivare i Comuni all’esercizio associato attraverso le Unioni montane, solo a quest’ultime siano riservati gli  specifici stanziamenti del bilancio regionale a favore dell’esercizio associato. Per esempio, la  legge dell’Emilia Romagna n. 21/2012 (che nel superamento delle preesistenti Comunità montane segue quella veneta e quella piemontese) non incentiva le «mere» convenzioni e le associazioni intercomunali.
Quando si parla di “governance” del territorio, non si può far finta che…

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