Domenica 4 settembre papa Francesco ha proclamato beato Albino Luciani, il papa montanaro figlio di un emigrante cattolico e socialista rimasto vedovo con due bambine e risposato con una compaesana conosciuta a Venezia. In tanti ne hanno scritto, in particolare per sottolineare il segno che Giovanni Paolo I ha lasciato nella storia della Chiesa, e il suo originale modo di comunicare. A me piace ricordare Luciani attraverso le parole di un vaticanista della mia generazione, Luigi Accattoli, che all’inizio dell’anno ne ha tracciato il profilo con queste parole: «Non amo le canonizzazioni dei Papi, ma sono pronto a fare un’eccezione per Luciani, come se lui, per me, neanche fosse un Papa. Perché nel fare santi i Papi siamo portati a vedere la Chiesa che canonizza sé stessa su iniziativa, di volta in volta, della corrente piana, giovannea, montiniana, wojtyliana. Ma non c’è una corrente lucianea. Nessun rischio quindi di canonizzare, facendolo Santo, una linea di governo, dal momento che il governo di questo Papa, subito amato e subito perduto, finì prima d’iniziare».
Papa amato per le origini povere e montanare, sottolinea Accattoli, «amato anche per i modi semplici e per non avere dimenticato la raccomandazione del papà Giovanni, socialista, che così gli scrisse dalla Svizzera— dov’era migrato per lavoro — quando a undici anni gli chiese il permesso di entrare in seminario: “Spero che quando tu sarai prete, starai dalla parte dei poveri, perché Cristo era dalla loro parte”».
Beati i poveri dice il Vangelo: e allora «sia beato questo Papa che patì la fame», conclude Accattoli. Ecco sulla sua figura – terzo papa arrivato al soglio di Pietro provenendo da Venezia dopo Pio X e Giovanni XXIII – tre testimonianze che mi piace riportare all’attenzione di questo blog.
[pdf] Una mia intervista al futuro Papa del 17 marzo 1973
[pdf] A colloquio con i vaticanisti che lo conobbero (1979)
[pdf] Giorgio Lago: l’arte della comunicazione da parte sua (1988)