Con commozione e profondo dolore partecipo al generale cordoglio per la scomparsa di papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio (1936-2025). A parte un’udienza generale in piazza San Pietro nel maggio 2014, non ho mai avuto l’occasione di avvicinarlo, come invece mi era capitato con alcuni suoi predecessori. Però mi sono sempre sentito a lui particolarmente vicino, trattandosi di un “punto di riferimento” imprescindibile sia per i credenti che per i non credenti. Faccio mie le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Il suo insegnamento ha richiamato al messaggio evangelico, alla solidarietà tra gli uomini, al dovere di vicinanza ai più deboli, alla cooperazione internazionale, alla pace nell’umanità. La riconoscenza nei suoi confronti va tradotta con la responsabilità di adoperarsi, come lui ha costantemente fatto, per questi obiettivi».
Con Francesco, se ne va un gigante della storia, un apostolo della speranza, un grande custode del creato, un pastore sempre in cammino e “in uscita”, un profeta di straordinarie qualità, un paladino degli ultimi, convinto e convincente testimone di finalità per le quali dobbiamo continuare ad «adoperarci».
Davanti alla sua statura, mi inginocchio e prego.
Dalla sua autobiografia, cito:
Entrare in sintonia con l’anima del popolo è un antidoto a ogni forma di populismo settario che riduce quell’anima a un elemento fazioso e ideologico” (Francesco, Spera, Mondadori 2025)
oltre a un mio spunto ulteriore, tratto dal volumetto “Cardinali, vescovi e preti di frontiera. Mezzo secolo di incontri dal Concilio ai giorni nostri”:
[pdf] Le sue radici e la sua svolta evangelica